lunedì 1 aprile 2013

STORIE

Chef Rubio scopre che Torino è Casablanca

Unti e bisunti 2 IV puntata  

Non a tutti piacerà che si parli di un aspetto di Torino che caratterizza il capoluogo piemontese almeno in alcuni quartieri, come Porta Palazzo: ma è un fatto straordinario che una trasmissione popolare come Unti e bisunti di DMax dia un'immagine non scontata, originale e diversa della città. Credo che sia un grosso aiuto al cambiamento, necessario, di mentalità e cultura. Grazie Rubio! E grazie alla generosità e simpatia dei marocchini torinesi!

ps: cliccando sul sottotitolo si apre il video della puntata.


Da Piazza Castello, dopo aver assaggiato un savoiardo, Rubio si sposta a Porta Palazzo e nei meandri del mercato vede Torino è Casablanca capendo che Torino è la Casablanca d'Italia. 
La prima tappa è la gastronomia, buona ed economica, a metà del primo tratto di via Cottolengo, un punto di riferimento importante per molti marocchini torinesi. Passa poi al Maghreb Al-Arabi o Grand Maghreb, dove Karim, alias Sultano, lo immerge in piatti 'rudi' e quasi lo conquista. Purtroppo da Sfenaj, a Stella 25 Rubio assaggia soltanto dei churros, più spagnoli che marocchini (ma sappiamo quanto la Spagna sia vicina al Marocco e quanto il Marocco del nord sia culturalmente vicino all'Europa, e viceversa) e non gli squisiti sfenj. Dar al Hikma e Dolci arabi le tappe successive... Per la sfida Rubio è incerto se scegliere il tagine di vitello, mandorle e prugne dei 'Marrakech' (si gioca coi nomi e coi ristoranti: il Marrakech è effettivamente il miglior ristorante marocchino di Torino, che però non compare nella puntata) del Dar al Hikma, ristorante Al-Andalous (bravissimi Fatima, Carlos l'egiziano e Mourad), oppure i 'dolci del deserto' di Yassine e Azzedine, o ancora il karain del Sultano... Tra i vapori dell'hammam, all'Herradi, decide che sarà l'agrodolce di uno dei migliori tagine della tradizione marocchina il piatto sfida. Non il cuscus, 'un piatto sacro' confida Rubio a Nezha, la magnifica cuoc-attrice che della cucina fa poesia e musica.

 

LINA e HASSAN

Lina e Hassan 2

Una bella storia al mercato dei contadini di Porta Palazzo approda al Torino Film Festival!

El lugar de las fresas di Maite Vitoria Daneris (Italia Spagna 2013).
Un documentario convincente, commovente ed efficace che si potrà vedere certamente altre volte, è passato e con successo al Torino Film Festival 

Chissà perché, ma avevo proprio scelto loro per i miei acquisti di verdura al mercato dei contadini di Porta Palazzo!

Grazie per la segnalazione a  scopriportapalazzo

 

Una laurea per la simpatia


"Mi sono laureato vendendo accendini": la straordinaria storia di Rachid
Rachid Khadiri Abdelmoula (foto di Repubblica)
A chi ha fatto code per entrare al cinema Massimo, a chi frequenta l'Università, a Palazzo Nuovo, certamente è capitato qualche volta di incrociare Rachid, della famosa famiglia Khadiri (il fratello grande Said lo si vedeva ragazzino tanti tanti anni prima fare lo stesso mestiere lungo via Po, e poi lo si è visto sul giornale quando ha acquisito la cittadinanza italiana). La simpatia e la spontaneità nel relazionarsi rende Rachid immediatamente amico, così che pare di conoscerlo da sempre... e poi ti ricorda magari quando sei stato giovane e vedevi già suo fratello vendere fazzoletti e collanine attorno a Palazzo Nuovo e ti sembra che il tempo non passi... Salvo scoprire che anche lui, nel frattempo, si è laureato, ed è ora ingegnere!

 

Aouita

Tutte le sere di Ramadan è piacevole unirsi ai ragazzi che prendono il fresco attorno ad un buon narghilè in uno dei tanti caffè marocchini vicini a Porta Palazzo. Si beve molto e si chiacchiera con la dovuta tranquillità, per riprendersi dal caldo del giorno trascorso al lavoro e, per chi lo pratica, dalla giornata di digiuno.
Tutti qui conoscono Aouita. Corre corre Aouita, come già il campione di mezzofondo marocchino Said Aouita, che precedette Hicham El Guerrouj per velocità e fama internazionale... Vestito da atleta percorre i suoi 1500 metri portando con grande equilibrio sulla testa il secchiello di mandorle tostate e salate: distribuisce sacchettini colorati pieni di mandorle e dispensa insieme battute a non finire, cambiando registro a seconda dell'interlocutore: passa dal marocchino all'italiano e nel tono comico recita la sua parte di intrattenitore: "Una di mattina e una di sera e non bere acqua!" recita solenne mentre serve direttamente al  tavolino le mandorle. "Con queste potrai siliconare meglio questa notte", sostiene sorridente, confermandone le proprietà afrodisiache...
Ride e fa ridere Aouita. Rivela che vendendo mandorle s'è comprato il motorino e ride ancora e tu con lui.
L'hanno multato, l'abusivo delle mandorle tostate e salate, 5000 euro di multa dice, e ammette: "sono andato a cercarmela, gliele ho vendute sotto il naso ai vigili!". Tant'è, adesso non va più col carrozzino pieno zeppo e porta invece borsa e secchiello, più maneggevoli in caso di improvviso scatto, per una corsa ancora.


Ragazzi tranquilli

Tra i marocchini di Torino sono tanti i giovani che vivono la città un po' nascosti, cercando di evitare i luoghi dello spaccio o della vita notturna dove può capitare che alcuni marocchini diano brutti esempi: “Per divertimento, vado in giro, vado a pescare o nuotare al fiume, o passo pomeriggi al caffè con gli amici. Almeno un terzo dei giovani marocchini non ama la discoteca. In tanti non fumiamo e non beviamo alcolici. Ci comportiamo così anche per evitare di trovarci in mezzo a guai creati da altri, dagli spacciatori o dai piccoli ladri, come capita ai Murazzi lungo Po”, chiarisce Jamal, che lavora di notte in un panificio e dunque ha poco tempo per i passatempi della 'Torino da bere'. E' di Khouribga, il suo amico Rachid di Oued Zem. A Torino frequentano soltanto gli amici del paese d'origine e al massimo gli amici degli amici. Entrambi lavorano in nero. Jamal ha potuto regolarizzarsi con un matrimonio bianco; ora è in difficoltà, vorrebbe sposarsi finalmente per amore, ma deve aspettare i tempi del divorzio... Il più giovane è ancora clandestino, ma ha la fidanzata qui, una marocchina laureata e senza velo (“Non le chiederò di metterlo, è una sua scelta”, dichiara convinto). Jamal ha una giovane fidanzata a Oued Zem, in Marocco. La vede poco e dunque ha risolto il problema frequentando una ragazza anche a Torino, sempre marocchina. La fidanzata che lo aspetta in Marocco è brava, dice, e l'ha trovata nell'ambito famigliare, ma non l'ha scelta sua madre, come invece capita spesso in quella provincia: “perché la madre sceglie sempre il bene del figlio”. E Jamal cita allora a proposito un proverbio marocchino: “Bnadem lli tacrfu hsen men lli matacrfuch” ovvero “La persona che conosci è meglio di quella che non conosci”, più o meno la versione magrebina del più volgare: “Mogli e buoi dei paesi tuoi”...

da Torino è Casablanca

 

La storia di Noureddin

Sono i giardini di via Alimonda. forse una delle zone più critiche della città, dove si concentrano vari progetti di recupero sociale. Il giardino appare all'opposto vivace e allegro, pieno di vita, di bambini di tutte le nazionalità ma italiani, di genitori macedoni, marocchini, egiziani, romeni, cinesi... Qui è il vero melting pot torinese, pare ci siano proprio tutte le centosessanta nazionalità (delle quasi duecento mondiali) presenti nel capoluogo sabaudo! Il giardino è lungo e stretto: nella prima parte ci sono ragazzini che giocano ed è un festoso vociare, rincorrersi di bambini, palloni e biciclette che circolano spensierati, con le mamme divise per nazionalità e lingua in piccole file ordinate tutt'intorno al campetto da gioco. Alcuni padri o i fratelli maggiori stanno un po' discosti, ma sempre vigili: i bambini possono sentirsi davvero sicuri. Non ci sono vetri rotti in terra, né bottiglie abbandonate, la spazzatura è riposta quasi tutta nei cestini e infastidisce soltanto vedere le manciate di scorze di semi rosicchiati sparse attorno alle panchine. A metà della piazza un'immaginaria recinzione divide perfettamente i due quadranti, a nord il giardino è quasi vuoto. Qui governa altra gente. Le famiglie del quartiere sono riuscite a riacquistare il controllo di metà dell'area, ma hanno dovuto lasciare terreno a chi l'aveva espugnata e la controllava da tempo, spacciatori e piccola criminalità comune.
Noureddin ed i ragazzi di via Alimonda. Foto di S. DePascalis




“Mi piacerebbe piantare una staccionata, o far mettere una ringhiera per dividere le due zone” mi confessa candidamente Noureddin. E' un uomo di circa quarant'anni, alto e magro e dal volto gentile; suo figlio, dall'aspetto prettamente italiano, potrebbe mostrare origini diverse solo negli splendidi riccioli, ma castani e chiari. Lui viene da Salè, la città dei pirati che un fiume soltanto separa dalla capitale marocchina Rabat. Sua moglie è italiana e non è musulmana. “Sarà mio figlio a decidere di che religione essere”, mi dice lui. “Ha sei anni e non gli impongo la mia religione, ma gli insegno l'arabo e lo faccio crescere nelle due culture, quella materna italiana e cristiana e quella paterna, marocchina e musulmana”.
Vivendo in questo quartiere difficile e misto, Noureddin s'è naturalmente appassionato alla causa della convivenza civile e sta organizzando con l'amico Sandro la Cena dei Vicini proprio nei giardini di via Alimonda. Adora da sempre i bambini e si preoccupa che possano giocare sereni, li segue con l'informale associazione tra vicini e organizza per loro tornei di calcetto. Le madri glieli affidano volentieri acquistando sempre maggiore fiducia, tanto che attorno a lui si sta creando concretamente una socialità interculturale. Da qualche mese con Sandro s'è attivato per la pulizia dei giardini e per educare i frequentatori al rispetto degli altri. Si sono aggregate subito altre persone e ormai ogni domenica mattina gli abitanti del quartiere partecipano alla pulizia del loro comune spazio verde ed alle attività per i bambini che vi vengono organizzate. “Non è facile, non è come una volta che quando ritornavo a casa dal lavoro trovavo mia moglie che prendeva il tè dalla vicina. Ora i vicini spesso stanno rinchiusi in casa, non badano agli altri, anzi li temono. Accade che si debba chiedere il permesso per lasciar giocare i figli, quando in Marocco è naturale invece lasciarli correre per strada a schiamazzare”, racconta Noureddin. E continua: “Da quando abbiamo iniziato ad occuparci del giardino si sono subito aggregate altre persone, una ragazza cinese madre di due bambini, una signora col cane, che s'è offerta di organizzare la pulizia dagli escrementi degli animali e di sensibilizzare i vicini su questo tema...” e tanti altri ancora.
“Dai malavitosi stiamo alla larga, ma si è comunque creata una distanza di rispetto e non ci danno fastidio”, conclude. Ed insiste: “anche se metterei volentieri una bella recinzione....”
Sono le zone di confine quelle dove le barriere sociali evidenziano maggiormente le difficoltà, dove fare intercultura e creare civile convivenza è arduo ed è proprio per questo che è qui dove si può vincere la sfida.

da Torino è Casablanca.


La storia di Omar, 

che si traveste per accontentare gli uomini 

 

Una storia che può sembrare molto triste, ma anche essere utile a capire e magari ad aprire orizzonti nuovi...  "Nessuno anche tra i giovani parla di omosessualità. Omosessuale in darija è zamel, il termine è usato soltanto come insulto. Eppure può capitare di vedere travestiti marocchini in alcuni locali, qui a Torino come a Casablanca, e sta crescendo un movimento gay libertario pure in Marocco, certamente visibile attraverso internet. Ciò avviene con grande difficoltà: le libertà civili arrivano sempre più facilmente dopo che si siano affermati diritti economici, quando ci sia almeno una parvenza di redistribuzione equa del reddito, e in Marocco come in gran parte del mondo si è ben lontani dalla democrazia economica. A Torino come abbiamo visto prevalgono processi di identificazione neo-tradizionalisti e di chiusura, che portano la comunità marocchina a ripiegarsi. Ambienti poi quasi prettamente maschili, come i caffè marocchini di Torino, offrono atmosfere di fratellanza che possono apparire quasi omofile. Ma questo non significa che vi sia apertura, quanto piuttosto l'opposto.
"Attraverso un amico del Circolo Maurice di cultura GLBT (gay, lesbica, bisessuale e transgender) ho potuto incontrare un uomo marocchino torinese che si prostituisce con altri uomini. Omar, un bell'uomo di quarant'anni, chiede di incontrarmi al Parco del Valentino, proprio nella zona degli incontri notturni maschili. Sotto un cocente sole posso intervistarlo per la fiducia che ripone nel mio amico e ovviamente con la richiesta di anonimato. Ma l'incontro dura pochissimo, vista la chiamata di un cliente e la necessità per Omar di prepararsi, truccarsi e vestirsi al femminile.
Sono a Torino dal 2006, prima ero in Francia, ero sposato, per volontà della famiglia. Ancora oggi penso di risposarmi ed avere figli, perché avere dei bambini è molto importante, in Marocco come qui in Italia”, mette le mani avanti, quasi per dimostrarmi qualcosa di cui non ha capito io non ho bisogno, ma di cui sente lui stesso forte necessità. E ripete durante tutto il breve periodo dell'incontro che il suo desiderio principale è quello, che tutto sta a trovare la donna giusta... Anche Omar vive il rimpianto di non aver avuto la pazienza necessaria per restare nel suo Paese: “Dal Marocco sono partito perché vi guadagnavo poco. Adesso la situazione è molto migliorata, ma ormai non posso ritornare a fare il lavoro di prima. Sono laureato, ma allora non pensavo che la situazione per i laureati sarebbe cambiata tanto. Se fossi rimasto probabilmente ora avrei uno stipendio di circa 800 euro che in Marocco sono tanti”.
Era amico del marocchino gay più conosciuto di Torino, che travestito da drag queen per le serate di divertimento si faceva chiamare convenientemente 'Marra Cash' e ottenne lo statuto di rifugiato politico, perché perseguitato nella sua Marrakech in quanto omosessuale. “Anche io stavo facendo richiesta di asilo, ma ho lasciato perdere perché è arrivata la sanatoria ed è stato meglio così, altrimenti avrei dovuto attendere lungamente la cittadinanza italiana per poter fare finalmente ritorno in Marocco”, racconta Omar, che prima di scappare per ricevere a casa l'improvviso cliente descrive cosa significa per un marocchino essere gay e prostituirsi: “Tutti i marocchini fanno sesso con gli uomini solo per soldi. Il mio amico ha convissuto con un italiano per due anni, ma poi è finita. Io non ho mai avuto un compagno e non desidero averlo, mi sposerei solo per avere dei figli. Nella mia famiglia insistono molto per questo. Sono gay? Per il momento vado con gli uomini, ma se trovassi una donna che mi piace mi sposerei. In Marocco lo facevo poco. Così pure in Francia. Qui è la norma, ma per far soldi. Vado soprattutto con gli italiani, ma ho esperienze con chiunque, basta che paghino. Per me è un lavoro, ma fra un po' smetto, perché non mi piace. Mi sono stancato. A Torino non frequento marocchini. Non sanno di me, solo qualche amico che fa la stessa vita. La vita di un gay marocchino è tremenda”.


La sessualità in Marocco è un mondo affascinante da scoprire, per certi versi misterioso, per altri fin troppo schietto: si potrebbe facilmente affermare che vi sia una maggior libertà sessuale nella cultura marocchina, almeno se confrontata con quella europea o peggio cattolica italiana! E in effetti maschi e femmine praticano il sesso con maggiore disinvoltura nell'estremo occidente africano rispetto all'Europa, e si potrebbe aggiungere che lo fanno più di pancia e meno di testa. Ci sono detti del sud del Marocco che fanno giustizia anche delle donne meno giovani e magari divorziate, sostenendo che è meglio avere una donna esperta piuttosto che una giovane vergine... Ma resta di tutta evidenza una struttura molto rigida e forse molto più profonda di quanto si possa immaginare, che vede come obiettivo del rapporto pesantemente codificato tra i due sessi opposti la procreazione e porta al desiderio quasi generalizzato d'avere figli. E che patriarcalmente assoggetta uomini e donne, svilendo la parte cosiddetta passiva di un rapporto sessuale (soprattutto se omosessuale, ma anche nel rapporto eterosessuale costringendo la donna a minore libertà) e regolando ogni aspetto in maniera piuttosto rigida (sesso dopo il matrimonio, soprattutto esasperando il discorso della verginità femminile).
Il confine tra haram o proibito e halal o lecito è tanto rigido formalmente quanto fluido soggettivamente: bevo alcool fuori casa e di nascosto, ma non nel mese di Ramadan o quaranta giorni prima del digiuno rituale; faccio sesso solo con mia moglie, anche tutte le sere di Ramadan tanto è halal, oppure vado con le prostitute solo dopo la rottura del digiuno; vado a letto con uomini ma solo se passivi, ma non lo deve sapere nessuno; indosso il velo islamico completo, ma poi scopro i piaceri del sesso extraconiugale; gioco d'azzardo, ma faccio l'elemosina; spaccio, ma vado in moschea... Sembra ci sia un accordo certo solo sul divieto del consumo della carne di maiale e sulla bellezza religiosa di praticare il digiuno di Ramadan!
C'è chi vive in Europa la sua vita haram e pensa di ritornare poi in Marocco a ripulirsi, per condurre una vita normale e halal. Così un'amica mi racconta di Zakaria, che a Torino si prostituiva e faceva il travestito nei locali malfamati di notte, “poi è ritornato in Marocco, dove ha messo su famiglia, ed è completamente trasformato”.

da Torino è Casablanca.
riportato in Repubblica, articolo di Vera Schiavazzi gennaio 2013

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